C’È UN LAGER VICINO A CASA VOSTRA
Due ragazzi algerini che hanno iniziato la protesta del cibo a Macomer, innescando una potenziale rivolta, sono stati immediatamente trasferiti, prima a Roma, poi a Bari e sabato scorso in Albania. Chi non abbassa la testa dentro i cpr, viene subito portato via, per evitare possibili rivolte.
Questo non ha fermato i prigionieri, alcuni di loro (un intero blocco) rifiuta il cibo da una settimana. In un altro blocco hanno riiniziato a mangiare domenica, perché la gestione li ha convinti che il cibo sarebbe migliorato; invece, ieri è arrivato di nuovo marcio e puzzolente, quindi l’hanno rifiutato un’altra volta. Questo è uno dei tanti motivi della protesta, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Tre ragazzi hanno delle fratture, due alla gamba e uno alla schiena, non hanno neanche le stampelle. L’acqua è poca, l’assistenza medica è praticamente assente. Chi è stato in altre carceri e CPR dice che un posto del genere non l’ha mai visto. Alcuni non dovrebbero essere in detenzione perché convivono con un’italiana. In altri CPR per lo stesso motivo sono stati liberati; a Macomer, invece, esiste una prassi di udienze ritardate (di competenza dei giudici di pace del tribunale di Oristano), la macchina burocratica, complice del razzismo di Stato, allunga la loro tortura. Ieri due ragazzi che hanno ricevuto la notizia dell’ennesimo rinvio dell’udienza, si sono lesionati con un taglierino, uno di loro si è cucito la bocca con del filo di ferro.
Questi fatti stanno accadendo a Macomer dove è operativo un lager, un buco nero in cui può finire qualunque migrante che sia privo di documenti ed incappi in uno dei periodici rastrellamenti effettuati per le strade della Sardegna o inviatovi, a fini punitivi, da altre strutture analoghe presenti nel resto d’Italia. La struttura, già dichiarata non idonea dalla CEDU, è esposta al caldo e al freddo, con alcune celle sotto il livello stradale.
I prigionieri di cui spesso non si conoscono neppure i nomi, possono disporre solo di avvocati indicati dalla struttura anche per le difficoltà nelle comunicazioni con l’esterno perché spesso non hanno schede telefoniche o devono chiamare ascoltati dagli operatori. Al loro arrivo frequentemente non vengono dati né scarpe, né vestiti, né coperte, sono costretti a vivere in celle con bagni senza porte e senza acqua calda, con “sale” ricreative senza sedie (sedie e porte sono per lo Stato sono possibili corpi contundenti in caso di rivolta).
Questo sistema di tortura funziona con la complicità di molte piccole imprese in grande maggioranza della provincia di Nuoro e di coloro che da tutta la Sardegna partecipano, a Macomer, ad iniziative “culturali” e festival tacendo volutamente la realtà del CPR-lager a pochi metri.
Le “cooperative” che gestiscono la struttura sono scelte dalla Prefettura di Nuoro, in base a criteri assolutamente bizzarri anche per le leggi dietro la cui copertura dicono di operare. L’attuale coordinatrice del CPR Elizabeth Rijo, colei che ha dichiarato alla RAI di voler “organizzare corsi di ballo di gruppo” (sic!) per i prigionieri, è fresca di candidatura con il centro sinistra e di collaborazioni con il terzo settore sardo.
Il CPR di Macomer si distingue dal resto dei CPR italiani. Nascosto alla vista e sorvegliato da polizia, carabinieri, finanza ed esercito. Nessuna protesta è permessa a meno di 500 m dalla struttura. Il questore di Nuoro Polverino emette fogli di via per tutti i solidal* che non rinunciano ad avvicinarsi alla struttura per comunicare con i prigionieri e tenta di spaventarli con denunce, intimidazioni, sequestro di qualsiasi cosa abbiano con sé, ritorsioni.
Nel carcere di Cagliari, che dai rapporti ufficiali risulta tra i peggiori d’Italia per la sofferenza dei prigionieri (tentativi di suicidio, atti di autolesionismo, proteste, etc.), è in corso uno sciopero della fame posto in atto da diversi prigionieri motivati da un elenco senza fine di fatti gravi. La denuncia più eclatante riguarda l’acqua per bere e per lavarsi che è talmente piena di colibatteri fecali da rappresentare un grave rischio per la salute di chi la utilizza.
Non ci aspettiamo che questi racconti provochino indignazione, la sola l’indignazione senza un’azione conseguente è poca cosa. È ipocrisia per lavarsi la coscienza, da lasciare ai vari deputati del centrosinistra, ai garanti dei detenuti, etc. che periodicamente si presentano, nelle varie strutture e in situazioni pubbliche, per rilasciare interviste e dichiarazioni assolutamente vuote (ma utilissime a raccogliere voti tra chi pensa che l’azione politica consista nell’atto elettorale).
Pasquale ci racconta che le rivolte che hanno posto fine al lager dell’Asinara sono state possibili anche grazie a chi era solidale dall’esterno.
Crediamo che essere solidali, nonostante la repressione, sia una scelta politica che è sempre anche ideologica ed etica.
Il filosofo Karl Jaspers ottanta anni fa scrisse che “C’è tra gli uomini come tali una sorta di solidarietà, la quale fa sì che ciascuno sia in un certo senso corresponsabile per tutte le ingiustizie e i torti che si verificano nel mondo, specialmente per quei delitti che hanno luogo in sua presenza o con la sua consapevolezza. Quando uno non fa tutto il possibile per impedirli diventa anche lui colpevole”.
Abbiamo bisogno della fantasia e della creatività di ognuno per costruire un mondo senza galere.