I GIUDICI DI PACE DEL TRIBUNALE DI ORISTANO SONO RESPONSABILI DELLA PRIGIONIA DI DECINE DI MIGRANTI NEL CPR/LAGER DI MACOMER.

I migranti i cui documenti non vengono riconosciuti nello Stato italiano, vengono catturati tramite vere e proprie retate, strappati dalle proprie famiglie e dalla loro vita senza aver commesso alcun reato. Il razzismo dello Stato imprigiona i migranti quando non può sfruttarli sino alla morte nei campi e nelle imprese. In Sardegna, per decisione di uno dei quattro giudici di pace del tribunale di Oristano, i migranti vengono imprigionati nel CPR (Centro di Permanenza per i Rimpatri) di Macomer dove vengono trattenuti deportati da altri CPR, per ragioni punitive, o da un carcere ma dopo avere scontato interamente la pena. Il giudice di pace esprime la propria decisione per videoconferenza, in perfetta solitudine e in pochi minuti. Lo scopo dell’udienza è imprigionare il migrante e il giudice esegue gli ordini.

Sarebbe più onesto chiamare lager il CPR di Macomer. La struttura è quella di un ex carcere di massima sicurezza, chiuso nel 2014 per un intervento della Corte Europea per i Diritti Umani in quanto considerato inadatto e degradante per via della mancanza di requisiti adatti al suo scopo.

Le condizioni in cui i prigionieri sono costretti a vivere all’interno del CPR sono disumane; sono sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, in altre parole vengono torturati. Per cercare di placare le lotte dei detenuti e renderli inoffensivi, vengono somministrate elevate dosi di sedativi senza alcun controllo. Nel caso tutto questo non basti, intervengono le forze dell’ordine in tenuta antisommossa anche su un solo prigioniero inerme.

Ma la violenza non è solo fisica. La nomina degli avvocati viene ritardata, si somministra cibo scadente e marcio, si limita l’accesso al telefono per chiamare la propria famiglia, viene impedito l’accesso alle ambulanze minimizzando, tramite il parere del “medico”, le condizioni dei detenuti, e quando i prigionieri rivendicano i loro diritti seguono pestaggi, minacce e ritorsioni. La detenzione amministrativa dei migranti può durare fino a 18 mesi, dopo si prospetta l’espulsione o la deportazione. In un paese “sicuro” come Egitto, Libia, etc., dove ancora saranno sottoposti a maltrattamenti e torture. Molti migranti prigionieri a Macomer hanno problemi di salute, dovuti anche alle azioni di autolesionismo che mettono in pratica per contestare il sistema razzista che nega i loro diritti. Non esistono visite mediche che si possano considerare tali e nonostante questo, i giudici di pace del tribunale di Oristano, con la complicità della ASL emettono convalide e proroghe di detenzione.

Nessuno può essere considerato idoneo a essere rinchiuso in un luogo di tortura. Come ci ha detto qualcuno che è riuscito a uscire vivo da quel lager: al CPR entri sano e ne esci che non lo sei più.

Non accettiamo la macchina razzista che ogni giorno lo Stato mette in moto. Non tolleriamo che questo accada qui o in qualsiasi altra parte del mondo.

Nessun giudice che decida che un essere umano deve essere rinchiuso in un lager può avere la coscienza pulita ed essere esente da gravi responsabilità etiche e politiche. Chi collabora con i CPR è sempre colpevole.

I luoghi di trattenimento dei migranti possono e devono essere chiusi con le lotte.

SOLIDALI E COMPLICI CON LE LOTTE DEI PRIGIONIERI PER LA DISTRUZIONE DEI CPR

PER UN MONDO SENZA FRONTIERE E SENZA GALERE

TUTTX LIBERX

Anarchicx contro carcere e repressione

AGGIORNAMENTI DALLE GALERE SARDE

Il Tribunale di Cagliari ha respinto la richiesta di detenzione domiciliaria del nostro compagno Paolo fatta del suo avvocato, motivando il provvedimento col rischio che il reato possa essere reiterato. Come detto in altre occasioni non crediamo nei tribunali, strumenti putridi dello Stato, utili solo per esercitare la violenza della legalità con chi non abbassa la testa e lotta.Noi ne prendiamo atto e continuiamo la lotta al suo fianco sino a quando le carceri non si ridurranno ad un cumulo di macerie.

Il nostro compagno magrebino che da Uta era stato trasferito al CPR di Macomer, dopo la conferma del trattenimento, nonostante avesse ingerito quattro grosse viti d’acciaio che non ha ancora espulso e si trovasse in sciopero della fame, è stato deportato, ad insaputa del suo avvocato, insieme ad altri 9 prigionieri, tramite un volo della Guardia di Finanza decollato dall’aeroporto di Oristano, al CPR di Caltanisetta. Ci racconta che niente è cambiato, ha trovato ancora trattamenti disumani e violenze.

PAOLO LIBERO
TUTTX LIBERX
FUOCO ALLE GALERE
FUOCO AI CPR

DENTRO I CPR SI MUORE LENTAMENTE

Nell’indifferenza generale dei cittadini sardi e dei suoi politici, dentro il CPR di Macomer continuano le violenze, la tortura fisica e psicologica dei prigionieri.

Le persone rinchiuse nei lager di stato, pagando con ripercussioni fisiche, psicologiche, minacce e ricatti protestano e lottano per rendersi visibili e rumorosi contro isolamento, silenzi e indifferenza.

Un compagno rinchiuso nel CPR, trasferito in maniera coatta dal carcere di Uta (CA) a fine agosto, ha iniziato da subito a lottare per la sua libertà e contro le violenze e le ingiustizie dentro questo lager. A partire dai primi di settembre ha intrapreso diverse azioni in segno di protesta, da solo e insieme ad altri compagni. Tra queste l’ingerimento di tre viti di ferro nei primi giorni di settembre. Da allora nessuna visita medica che si possa considerare tale è stata messa in atto per accertare le sue condizioni di salute che in più di due mesi sono inevitabilmente peggiorate. Il “medico” del CPR, Gasparino Demontis (medico di medicina generale e operatore del consultorio familiare di Macomer) si limita a dare indicazioni per una terapia psichiatrica non verificata che si traduce nella indiscriminata somministrazione di farmaci calmanti per sedarlo e renderlo inoffensivo. La violenza non è solo fisica. L’ente gestore Officine Sociali e la direttrice del CPR Elizabeth Rijo ritardano la nomina degli avvocati, forniscono cibo scadente e non commestibile, limitano l’accesso al telefono per chiamare la propria famiglia, impediscono l’accesso alle ambulanze, il tutto in una struttura degradata e sporca. Il compagno continua a lottare dentro questo lager, e dieci giorni fa ha iniziato uno sciopero della fame per contestare il sistema razzista che nega i suoi diritti. Alla fine della settimana scorsa gli è stata comunicata la convalida della sua detenzione per altri 3 mesi, l’ultima di due udienze in cui il “medico” Demontis non fa altro che minimizzare davanti al giudice le sue condizioni di salute e la sua sofferenza fisica e psicologica. La sua lotta non è individuale, è collettiva. Nessuno, infatti, è idoneo a rimanere rinchiuso dentro un luogo di tortura. Come ci ha detto qualcuno che è riuscito a uscire vivo da quel lager: al CPR entri sano e ne esci che non lo sei più. Nessuno deve essere costretto a vivere in una condizione di privazione della dignità, dei diritti e della sua libertà. Il compagno che ha iniziato lo sciopero in questi giorni, attraverso il suo corpo, sta lottando contro questa violenza, sta lottando contro la detenzione amministrativa, contro la somministrazione indiscriminata di farmaci, contro la tortura che rappresenta il CPR.

Da 6 anni a questa parte, cambiano gli enti gestori, cambia la direzione ma non cambia la sostanza di questi luoghi: spazi di tortura e di violenza istituzionale a cui si oppongono le persone che vi sono rinchiuse con i loro corpi e le loro azioni di rivolta. In questa lotta ci sono degli alleati, sempre troppo pochi, che il potere repressivo dello stato vuole scoraggiare e impedire anche l’avvicinarsi fuori dalle mura di quel lager.

Ma la repressione non può fermare una lotta per la giustizia, non esiste legale o illegale, ma oppressione e resistenza.

Quanto ancora devono andare avanti le violenze e le torture affinché si vada oltre l’indignazione e le parole di compassione e si prenda posizione organizzandosi e mostrando il dissenso con il proprio corpo e le proprie azioni contro un campo di concentramento dove le persone sono lasciate ‘morire lentamente’?

Oggi, mercoledì 12 novembre si è svolto il processo contro il nostro compagno Paolo e due nostri amici, in carcere da più di un anno in custodia cautelare accusati di rapina a mano armata.

L’udienza si è conclusa con tre condanne, la più alta, 5 anni e 2 mesi, è stata inflitta, con rito abbreviato, a Paolo.

Pensiamo che Paolo sia stato punito soprattutto per la sua lotta dentro il carcere che ha svelato non solo gli abusi e i soprusi dell’amministrazione carceraria, ma anche l’enorme contraddizione, che non ci stupisce, di uno Stato che, pur di continuare a trattare in maniera inumana e degradante prigionieri e familiari, non rispetta neppure le proprie schifose leggi, nel silenzio complice del tribunale di sorveglianza e dei garanti.

Nonostante l’udienza si sia svolta a porte chiuse, siamo riusciti incrociare e salutare i nostri tre amici nei corridoi del tribunale. La risposta è stata calorosa nonostante il nutrito numero di guardie che cercavano di impedirlo.

Fuori dal tribunale si è svolto un presidio di solidarietà di una trentina di compagnx sotto lo sguardo dei soliti ficcanaso di turno.

Siamo solidali e complici con Paolo, Joan e Walter e lotteremo ancora contro tutte le galere sino a quando non ne rimarranno solo macerie

PAOLO LIBERO

TUTTX LIBERX

FUOCO ALLE GALERE

Anarchicx contro carcere e repressione

Lettera di Stecco dal carcere di Sanremo

ilrovescio.info/2025/10/18/lettera-dal-carcere-di-sanremo

Il 25/07 molti giornali locali e l’ANSA hanno dato la notizia che in questo carcere la notte del 24 ci fu una “protesta”, una “rivolta”, con otto agenti feriti, di cui uno sfregiato. Tutti i commenti dei sindacati di polizia penitenziaria (USPP – OSAPP – Si.N.A.P.Pe) non spiegano per nulla la dinamica dell’accaduto, sul quale ci sarebbe però da spiegare – camminando sul filo del rasoio – le dinamiche di questo carcere pre-25/07.
La direzione ed il comando hanno grosse e incancrenite responsabilità di una gestione dell’istituto che si può definire irresponsabile, superficiale, ed anche imbarazzante.
Non sta di certo ai detenuti dare consigli su come gestire un carcere, perché è sbagliato come approccio, ed è pericoloso nella dinamica. È giusto invece dire che il Comando usava degli alfieri (detenuti che aiutano la Sorveglianza, anche stipendiati) per mediare ed intervenire in supporto alle guardie nella gestione di alcuni detenuti ritenuti problematici o in alcuni momenti critici, quasi sempre con detenuti di origine straniera.
Che il corpo di polizia si lamentasse, che relazionasse, denunciasse le lacune della Direzione e del Comando è cosa normale, tirano acqua al loro mulino, facendosi le scarpe l’un con l’altro per meri motivi di interesse, il cameratismo tra guardie qui è una favola.
Che i sindacati come un mantra dicano sempre le solite formule “risolutive” – più uomini, più mezzi deterrenti come i taser o spray al peperoncino, più carceri, più soldi –, è anche questa cosa scontata, mai che dicano qualcosa su un Governo – che molti di loro hanno votato – ed un Ministero che in realtà, finita la propaganda elettorale, s’è lavato le mani e continua con le sue politiche che riempiono sempre di più le galere. Entro un anno – o anche meno – vedremo gli effetti del recente decreto sicurezza con l’allargamento e inasprimento dei reati.
I giorni seguenti alla notte del 25, e le settimane successive, dopo che la Comandante Nadia Giordano è stata silurata e mandata a timbrare scartoffie, è arrivato in missione il Comandante di Cuneo Daniele Cutolo (ora sostituito da quella di Imperia), già responsabile di aver in passato ribaltato il carcere di Biella dopo che anche là erano emersi problemi di sicurezza, portandosi dietro la sua squadretta di fiducia.
Questa squadretta, assieme alle guardie qui presenti, ha fatto sballare [trasferire – gergo galeotto] circa una trentina di detenuti e rimescolato alcune sezioni. Chi si rifiutava, si opponeva o alzava la voce di fronte a questo intervento, oltre al potenziale rapporto poteva subire un’aggressione fisica che poteva finire anche in un pestaggio. Sono state cambiate tutte quelle che erano le abitudini all’interno del carcere, apportando il ripristino totale del regime chiuso, a parte quello della 4° sezione che è sempre stata aperta. Le socialità nelle celle sono state tolte, rimane la saletta. Ogni tipo di mobilità interna è ad oggi ostacolata rispetto a prima, le continue perquisizioni alla ricerca di frutta fermentata, telefoni, ecc. danno il pretesto alle guardie per rompere cose autocostruite dai detenuti nelle celle… felpe con cappuccio, cappellini con visiera, vasi di piante di basilico e menta…
L’altra settimana in sezione c’era una guardia conosciuta per le sue continue provocazioni, all’apertura per l’aria si è spazientita e ha urlato “bene, ora non mando giù più nessuno”. Ci si è messi di buona lena a battere blindi e stoviglie, il risultato è che ci si è trovati subito una dozzina di guardie con guanti pronte ad intervenire. Questa dinamica prima non c’era, ora è stata data “carta bianca”. Chi insulta o parla “male” ora rischia di essere preso ed in malo modo portato in isolamento.
Il fatto più grave è avvenuto in data 14/09 contro un detenuto, arrivato a metà agosto, che ha evidenti problemi psichici (nella sua cartella clinica risultano nove TSO subiti, pratiche di autolesionismo, ipocondria, oltre all’assunzione della “terapia”), che dopo essersi barricato dentro la cella nella sezione della degenza, ha subito l’intervento della Sorveglianza. Dopo che la cella è stata aperta, una quindicina di guardie l’hanno portato in una cella isolata fuori dalla sezione, ed in due fasi – alle ore 20.36 e 21.30 – il detenuto è stato aggredito.
A suo dire ammette di avere insultato le guardie, ma non ha agito contro di esse.
In data 15/09 all’aria decine di detenuti  della 1° sezione e della degenza potevano constatare il suo viso tumefatto, il naso presumibilmente rotto e segni di anfibi sulla schiena. Sembra che dopo pranzo gli sia stata concessa una video-chiamata, e in data 16/09 è stato portato all’ospedale su richiesta del medico.

Durante le due visite del Provveditore delle carceri piemontesi e liguri, alla prima è stato negato un confronto con i detenuti, per quella avvenuta in data 08/09 assieme al Procuratore Generale Enrico Zucca, nonostante qualche detenuto mi avesse proposto per partecipare al confronto tra detenuti e autorità – occasione per esprimere il nostro punto di vista –, la risposta informale è stata “lui no, è troppo spigoloso”. Quando in realtà ha espresso in entrambe le occasioni – con tono sprezzante e sbirresco –, il concetto che loro sono lo Stato e non erano lì per noi, che ci sono regole da rispettare.
Alla prima visita ci si incrociò alla rotonda, e dopo aver accusato la Direttrice di incompetenza e menefreghismo visto che codesto individuo insisteva sulle regole, gli si rispose citando vari articoli del diritto penitenziario a favore dei detenuti e sistematicamente non rispettati.
Si passa dalla mancata fornitura di lenzuola e prodotti di pulizia e di igiene, alla gestione dell’area sanitaria, mancanza di attività di vario tipo, alla sistemazione della palestra e campo sportivo, alla possibilità che chi è nei termini possa accedere alle pene alternative, all’inadeguatezza di questo carcere nel sostenere persone con problemi fisici e psichici di vario grado. Senza contare la quotidiana manifestazione della povertà, soprattutto dei detenuti stranieri spesso completamente isolati ed abbandonati a se stessi. La solidarietà, poca, informale tra detenuti non basta a sopperire a questa discrepanza tra chi ha un poco e chi nulla. L’egoismo vince, la premialità anche.
Ci viene detto che verranno fatte varie innovazioni e migliorie, sia nell’area educativa che sanitaria, ad oggi gli ambienti – area matricola, infermeria, sorveglianza, trattamentale – sono in fase di imbiancatura e sistemazione degli impianti elettrici, ecc. Le ore della palestra sono diminuite da 6 a 4 settimanali, quelle per i lavoranti sono state tolte, nel frattempo sono ripartiti i corsi scolastici ed alberghieri. I trattamenti farmacologici, chiamati terapie, continuano con il loro lavoro di sedazione.
Al TGR Liguria hanno detto che verrà inserito un nuovo Comandante, mentre la Direttrice sembra essere inamovibile ed agganciata ai piani alti. Nelle prossime settimane si capiranno se ci saranno ulteriori novità.
Come detenuti di Sanremo ad oggi, per vari motivi, non ci si riesce ad organizzare, quanto meno per riuscire a trovare spazio per le nostre richieste ed esigenze, e renderle attivabili facendo pressioni.

Una cosa è certa, e va ribadita, quello che succede nella Liguria di ponente, è lo specchio di questo luogo, e qui emerge in tutta la sua attualità la questione di classe. I forti investimenti nel ramo immobiliare nel Comune di Ventimiglia e Sanremo per accogliere i ricchi francesi e non solo, che per via della flat tax sono attirati da case e servizi detassati adatti ai loro standard di vita, sta portando a spese pubblico-private nell’ordine di centinaia di milioni di Euro.
Nuovi posti barca come “Calaforte” per i ricchi di Montecarlo vengono costruiti, nuovi hotel a 5 stelle sorgono, e intanto il sindaco leghista di Ventimiglia nelle ultime settimane ha fatto sgomberare con le ruspe i bivacchi sotto il cavalcavia del fiume Roya.
La prigione di Sanremo è isolata, il servizio autobus è praticamente inesistente e questo luogo rispecchia quelle che sono le politiche locali, i poveri ed i migranti finiscono qui, espulsi prima dalla città, qui e poi CPR.
Molti sono invece i detenuti che rimangono impigliati nel sistema della frontiera. Emarginazione, indifferenza, repressione, razzismo, questa è la vera essenza di questo luogo ed il clima che si respira.
Ad oggi tutte le proposte di migliorie e cambiamenti sono inascoltate, le decisioni sono unidirezionali, cioè imposte.
Questa è a grandi linee la situazione in questo carcere, a volte le dinamiche e la loro genesi sono più sottili e complesse ma questa è la realtà.
Noi detenuti dovremmo e potremmo ottenere di più, ma manca la mentalità di solidarietà e unione. Spargere buoni propositi è quello che si riesce a fare per ora.

Luca Dolce, carcere di Sanremo 17-18/09- 2025

PS: Il detenuto picchiato è stato portato in 3° sezione, dove ci sono solo stranieri, quasi tutti sotto terapia e molti con problemi psichici. La sezione più povera e degradata.

Ieri sera [17/09] la Sorveglianza voleva che dessi loro una mano a trovargli un posto nella sezione dove mi trovo, quando è già tutta piena, siamo in oltre 50 detenuti. Lo buttano in giro come un sacco di patate.

Non riescono a gestire i troppi casi di gente che non è lucida ed in sé.

SA DOMU È FINITA-NASCE S’ATOBIU INTERNESCIONAL

L’esperienza dello spazio occupato di Via La Marmora continua! Crediamo che il modo migliore per evitare il degrado e l’abbandono degli edifici, sia quello dì viverli e prendersene cura, abitandoli quotidianamente. Alcuni percorsi finiscono, altri proseguono, tante persone ritornano e l’esperienza si allarga, in risposta a un’esigenza abitativa anticlassista e antirazzista urgente.

LA CASA È DI CHI L’ABITA
Collettivo Internescional

ELISABETH RIJO E LA SUA RICETTA PER UN LAGER “FELICE”

Dal CPR ci riferiscono che hanno difficoltà a comunicare in quanto gli hanno sequestrato i caricabatterie dei cellulari e le comunicazioni sono continuamente controllate e spesso gli operatori prendono i telefoni fingendosi prigionieri per diffondere notizie false. Abbiamo saputo che oggi gli antisommossa hanno pestato un ragazzo chiuso in isolamento, mentre si hanno poche notizie del prigioniero massacrato dai finanzieri nella rivolta di martedì che ci dicono stia male perché lo sentono urlare e non ha ricevuto, come riportato nel precedente post, nessuna cura medica.

Sembra che le istituzioni comunali, Elizabeth Rijo e i suoi sgherri, stiano perdendo il controllo a causa delle informazioni che arrivano dai prigionieri. In una intervista ad una televisione locale le ridicole affermazioni del sindaco di Macomer e del consigliere con delega al CPR Castori hanno esaltato la professionalità dei sanitari del CPR (per intenderci quelli che respingono le ambulanze nei casi di pestaggi e nei tentativi di suicidio) e degli sbirri minimizzando i fatti già denunciati in questo blog. Nella stessa intervista, la comandante del lager, Elisabeth Rijo, in pieno stile nazista, nega anch’essa le gravi situazioni di violenza e tortura che subiscono i prigionieri, affermando che il “CPR non è un lager” e che gli operatori tentano di fare in modo che la permanenza “sia la meno dolorosa possibile”. Evidentemente la sua ricetta per eliminare il dolore e la disperazione dei prigionieri sono manganellate, bastonate e psicofarmaci.

Noi continuiamo a essere solidali con chi lotta per bloccare la macchina razzista dello Stato.

COMPLICI E SOLIDALI CON I PRIGIONIERI IN LOTTA

I CPR SI CHIUDONO COL FUOCO

TUTTX LIBERX

A PROPOSITO DEGLI ULTIMI FATTI ACCADUTI AL CPR DI MACOMER.

La condizione all’interno dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) è caratterizzata da violenze e abusi sistematici. Nonostante le promesse di riforma e miglioramento, le politiche razziste dello Stato italiano e del capitalismo ed imperialismo europeo non solo persistono, ma si intensificano. Il mese di agosto ha visto episodi di pestaggi, mancate cure adeguate e torture, confermando che l’unico cambiamento accettabile è la totale demolizione di queste strutture disumane.

Uno degli episodi più recenti ha coinvolto un giovane detenuto in uno dei tre blocchi del CPR di Macomer. Per protestare contro la mancanza di cure necessarie, il ragazzo è salito sul tetto del centro. In segno di solidarietà, un compagno di cella, dopo che si è accorto che erano stati chiusi i citofoni per comunicare con l’esterno, ha tentato di raggiungerlo, ma durante il tentativo è caduto, fratturandosi la mano. Un altro loro compagno non poteva muoversi, perché stava male dopo che aveva ingerito delle batterie e delle lamette, sempre come atto di protesta, senza aver ricevuto nessun tipo di cure al pronto soccorso. Nel frattempo, la situazione si è rivelata una trappola: un’ambulanza è stata chiamata per convincere il ragazzo sul tetto a scendere, promettendo assistenza medica. Una volta sceso con l’aiuto dei vigili del fuoco, è stato brutalmente pestato da un gruppo di 15 tra finanzieri anti-sommossa e operatori del centro, utilizzando anche bastoni. I suoi compagni hanno riferito che è stato massacrato.

L’ambulanza, complice in questo inganno, è ripartita vuota, ingannando anche i compagni del ragazzo, che credevano stesse per essere portato all’ospedale San Francesco di Nuoro. La mattina seguente, è emerso che il giovane, dopo il pestaggio, era stato trasferito in un altro blocco, separato dai suoi compagni e senza ricevere le cure necessarie.

La Lotta per la Solidarietà

Ieri, come nostra consuetudine, abbiamo cercato di portare solidarietà direttamente fuori dalle mura del CPR. Tuttavia, l’accesso è diventato sempre più complicato. A differenza delle carceri, il CPR è più isolato e militarizzato. Al nostro arrivo, l’unica strada per farsi sentire era già presidiata. Abbiamo tentato di trovare un’altra via, ma le speranze erano scarse, poiché avevamo già compreso che l’accesso a un punto idoneo per la nostra solidarietà era stato bloccato.

Nonostante fossimo distanti dal centro, i carabinieri ci hanno seguito con tre volanti, bloccandoci, identificandoci e denunciandoci per violazione del foglio di via da Macomer, lo strumento con cui l’ex questore di Nuoro, Alfonso Polverino, ha provato ad allontanarci da quel lager. Dopo le perquisizioni personali e dell’auto, abbiamo sentito per telefono il nostro compagno, che era stato picchiato dopo la protesta sul tetto. Era contento perché finalmente stava arrivando un’ambulanza, ma anche questa volta si è rivelato un inganno.

Allora abbiamo provato a contattare il 118 e abbiamo parlato con gli operatori dell’ambulanza, i quali ci hanno rimbalzato al CPR, affermando che senza la loro chiamata non potevano intervenire. Abbiamo tentato di contattare il centro, ma non abbiamo ricevuto risposta. Abbiamo richiamato l’ambulanza, ribadendo per l’ennesima volta che una persona in gravi condizioni necessitava di assistenza. L’operatore ci ha risposto: “Il ragazzo ci ha chiamato, lo sappiamo. Ma il medico della struttura ha visitato il ragazzo e ha detto che non c’era bisogno del nostro intervento”.

A quel punto, abbiamo richiamato il nostro compagno, il quale ha smentito quanto detto dall’operatore: era stato visitato da un infermiere tunisino, non da un medico. Siamo certi che sia stato messo a tacere dopo un brutale pestaggio eseguito da 15 infami finanzieri anti-sommossa e operatori del centro. Questa situazione mette in luce un sistema gerarchico che esiste anche all’interno della sanità, dove una catena di scarico di responsabilità legittima il mancato soccorso per una persona gravemente ferita.

La Complicità del Sistema

Prefettura, sbirri, personale medico, ente gestore: siete tutti complici di queste torture. Chi confida ancora nel loro lavoro per migliorare le condizioni all’interno del CPR è parte di questo sistema oppressivo.

Ancora una volta le politiche razziste dello Stato italiano e del capitalismo ed imperialismo europeo trovano applicazione, tramite le ordinanze della Questura e Prefettura di Nuoro, per cui una porzione significativa del territorio di Macomer risulta interdetta ai civili e a qualsiasi manifestazione di solidarietà e dissenso verso i prigionieri, su cui viene praticata una violenza feroce ed incontrollata, tramite colei che può essere definita la Lager Kommandant, Elisabeth Rijo, e i suoi sgherri. La zona rimane aperta per gli accessi dei politici, Ghirra, Licheri, Salis e compagnia, che cercano di consolidare la loro inutile e squallida carriera politica con l’aiuto di varie associazioni compiacenti, a cui è permesso accedere per effettuare attività di controllo e “dissenso” e che, di fatto, rafforzano la facciata cosiddetta “democratica” dello Stato, nascondendo quello che succede realmente all’interno del lager.

SOLIDALI E COMPLICI CON I DETENUTI IN RIVOLTA.

I CPR SI CHIUDONO COL FUOCO.

LIBERO DALLA GALERA DI UTA PER FINIRE DIRETTAMENTE NEL CPR.

Nella mattinata di oggi, 19 agosto, ci siamo ritrovati fuori dal carcere di uta in attesa della scarcerazione di un nostro amico tunisino conosciuto in questi mesi tramite corrispondenza. Nei mesi passati attraverso le lettere ha dato una testimonianza diretta degli abusi che ha subito, facendo i nomi di alcuni responsabili delle violenze nei suoi confronti. In un ultima sua lettera ci ha avvisato che c’era anche l’opzione di una deportazione o di un trasferimento al cpr di Macomer, ma senza ovviamente nulla di certo.Dopo diverse ore sotto il sole in attesa della sua liberazione, dove tutto è scivolato via tranquillo con la solita schifosa routine, ad un certo momento ci siamo accorti di un pò di fermento all interno del piazzale principale con un insolito viavai di guardie. Alcune di esse poco dopo con assoluta tranquillità e sfacciataggine sono uscite dal cancello con chiaro intento provocatorio per fotografare noi e la macchina, tornando dentro poco dopo. Passata una buona mezz’ora, circa una quindicina di guardie sono riuscite ma stavolta con un blindato della penitenziaria al seguito bloccando di fatto noi e la rotatoria per “facilitare” l’uscita di una macchina in borghese con il nostro amico dentro che, capendo la situazione e riconoscendoci da dentro la macchina, ammanettato ci ha salutato calorosamente. Immaginandoci la destinazione ma non avendo certezza abbiamo chiamato l’avvocato che ci ha confermato che la destinazione piu plausibile sia il cpr di Macomer. Nonostante continuino in tutti i modi a metterci i bastoni tra le ruote per spezzare la solidarietà verso tutte quelle persone che non si piegano a questo sistema, noi saremo sempre fuori da tutte le galere ad urlare quanto queste ci fanno schifo.

FUOCO ALLE CARCERI

FUOCO AL CPR

MORTE ALLE GUARDIE

LIBERTÀ PER TUTTI